LA META' DI CREDEREdi Sabrina Calzia - estratto
SEIF (seconda parte)
Non so per quanto sono rimasto immobile.
Sembrava un Tempo interminabile; ma forse era solo un attimo.
Quella vampata improvvisa nella mia mente, quel fuoco spietato che aveva appena bruciato i miei pensieri... in un attimo si era spento. Lasciando nella stanza un assordante, insopportabile silenzio.
Non avevo più freddo.
La mia fronte era fresca, le mie gambe forti, le mie braccia agili. Adesso potevo muovermi, come prima. Avevo creduto di non poterlo più fare, invece sì, ci riuscivo.
Forse era stato l’Altro, ad aiutarmi.
Lui aveva spento il fuoco, l’aveva sconfitto, soffocando anche l’ultima scintilla. Mi aveva salvato.
Ma anche stavolta, non l’avrei ringraziato: Lui c’era per questo. Dovevo per forza farcela, o Lui non avrebbe più avuto motivo di essere.
Lo aveva fatto per sé, in fondo. Non mi aveva fatto un favore, non Gli spettava nessuna gratitudine. Non sapevo bene perché, ma sentivo di non doverGli niente.
Ora so ciò che allora forse intuivo, inconsciamente.
Che il fuoco era buono, e mi aveva scaldato. E per un istante aveva fatto vivere la mia mente, e i miei pensieri.
Non li aveva bruciati, non li aveva uccisi, non era mai stato crudele. L’Altro, me lo aveva fatto credere. Ma il cattivo era Lui, l’ho capito.
La mia mente si è assopita, quando il fuoco si è spento.
E quei lapilli dissolti, i miei pensieri, hanno smesso di danzare nell’aria sull’onda delle mie emozioni.
Sono riuscito a sopravvivere, mio malgrado. E con lo sguardo impietrito, e una domanda negli occhi, mi sono voltato. Tutto qui. Non ho saputo fare nient’altro.
Poi sono andato avanti, con la mia vita di sempre. Sempre quella. Senza Priscilla.
Nessuno aveva risposto alla mia domanda. Perché. Perché?
Ma il fuoco ormai si era spento, ed io ho smesso di chiedere. Sono andato avanti, senza riflettere.
Non avevo abbastanza tempo, per pensare.
Dodici, tredici minuti al mattino; altrettanti la sera. Solo quelli. E poi mi sentivo libero, di muovermi. E dopo quei terribili istanti di paralisi, per me era l’unica cosa veramente importante.
Mi credevo libero, invece no. L’Altro me, aveva preso il filo.
Mi ero distratto un attimo, quel giorno, quando Priscilla era scomparsa. E Lui ne aveva immediatamente approfittato.
Ora, con Lui al comando, avevo smesso di farmi quelle domande, sul quando e il perché, Priscilla era sparita. Semplicemente, ne avevo preso atto.
Non ho ragionato, allora: avrei dovuto cercarla, finché ero in tempo. Lei se n’era andata, questo era certo. Ma non lo avrebbe fatto, di sua volontà. Perché mi amava.
Dovevo capirlo, che l’avevano presa Loro; e che ora cercavano di distrarmi, per impedirmi di riprendermela.
Dovevo capirlo, ma non potevo. Perché avevo perso il filo, e l’Altro mi manovrava, muovendolo a suo piacimento.
Doveva accadere, prima o poi. Se era successo a Priscilla, come potevo io salvarmi?
Strano è che, vigile come ho sempre cercato di essere, non lo abbia neppure sospettato, per tanto. E inconcepibile per me, adesso, che io sia andato avanti con la vita di sempre, senza lei.
Allora, evidentemente, non doveva sembrarmi così strano.
Forse, semplicemente, ho smesso di pensarci.
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