... Così Celeste, stanca di lavoricchiare a servizio nelle cucine di donna Serafina, che per di più la maltrattava, si alzò quella mattina del dieci agosto di buon ora e uscì da casa, mettendosi il fazzoletto in testa per coprire i lunghi capelli. Camminò svelta lungo il viale alberato di faggi, prese una stradina polverosa e acciottolata e, riparandosi gli occhi dal sole con le mani, proseguì con lo stesso ritmo fino alla cascina di don Felice, palpitante dall’eccitazione e dalla smania di comunicare a Eugenio la sua idea originale. Eugenio stava nella stalla, dove lavorava alla mungitura delle vacche. Bella carriera per un artefice della porcellana di eccellente ingegno! Per grazia di Dio suo padre era morto e non lo avrebbe visto ridotto in quello stato. Da quando, catturato dall’amore, aveva seguito Celeste su quell’aspra montagna, si era dedicato a svariati lavori. Dapprima contadino, poi pecoraio, poi acquaiolo e, addirittura, durante la guerra aveva fatto lo straccivendolo,