RACCONTANDO RACCONTANDO!
... Così Celeste, stanca di lavoricchiare a servizio nelle
cucine di donna Serafina, che per di più la maltrattava, si alzò quella mattina
del dieci agosto di buon ora e uscì da casa, mettendosi il fazzoletto in testa
per coprire i lunghi capelli. Camminò svelta lungo il viale alberato di faggi,
prese una stradina polverosa e acciottolata e, riparandosi gli occhi dal sole
con le mani, proseguì con lo stesso ritmo fino alla cascina di don Felice,
palpitante dall’eccitazione e dalla smania di comunicare a Eugenio la sua idea originale.
Eugenio stava nella stalla, dove lavorava alla mungitura
delle vacche. Bella carriera per un artefice della porcellana di eccellente ingegno!
Per grazia di Dio suo padre era morto e non lo avrebbe visto ridotto in quello
stato. Da quando, catturato dall’amore, aveva seguito Celeste su quell’aspra
montagna, si era dedicato a svariati lavori. Dapprima contadino, poi pecoraio, poi
acquaiolo e, addirittura, durante la guerra aveva fatto lo straccivendolo,
spingendo lungo le stradine e i viottoli di montagna, sotto il sole e la
pioggia, un carretto carico di robaccia: stracci, piatti rotti, vecchi pitali,
pentole arrugginite, lampade a olio, bambole di pezza, capelli intrecciati e
anche qualche oggetto di ceramica fatto dalle sue abili mani. Ogni tanto riusciva
a vendere qualche cosa e, a volte, prendeva una soppressata o una caciotta di
ricotta in cambio delle sue maioliche, e allora tornava soddisfatto e
orgoglioso dalla sua Celeste.
Da qualche mese lavorava qui, nelle stalle di don Felice,
mungeva, puliva e strigliava le vacche.
Eugenio si alzò da sotto una vacca, cui stava ripulendo
le mammelle prima della mungitura quotidiana, e guardò la moglie, confuso e
stupito. Lei era raggiante, i suoi occhi neri brillavano febbricitanti e le sue
labbra fremevano, trattenendo le parole. Si guardarono a lungo, in silenzio e lentamente
sul volto di Eugenio si allargò un sorriso ebete.
- Un bambino!
Sussurrò appena e pensò: finalmente dopo sette anni. Avremo un figlio, sarò padre. Lascerò il
mio frutto su questa terra. Il signore mi ha graziato. Non ho vissuto invano…
Celeste lo guardò accigliata e stizzita:
- No, niente bambino. Che sciocchezza! Un’idea! Un’idea
magnifica!
....
bellissimo!!!
RispondiEliminaP.S. grazie di cuore
grazie Chiara, un racconto che non riesco a terminare!
EliminaBaci.